Martina:la sua esperienza
![]() Poi i giorni passano, l’ambiente diventa piano piano più familiare, le cose e le persone trovano in te una loro sempre più naturale collocazione e inizi a renderti conto di quanto senza fare assolutamente niente tutto quello che hai intorno riesce a regalarti, di quanto i colori, gli odori, e i suoni di questa terra riescano a riempirti l’anima; sono disarmanti, per noi ormai così poco abituati a darne e riceverne, gli sguardi diretti, senza paura, che ti vengono donati e ai quali tu non sai reagire, ti fulminano, ti mettono in difficoltà, ti rendi conto di quanto sei tu quella incapace di restituire quello che ti viene così spontaneamente e semplicemente offerto, di come sia ormai impossibile tra noi occidentali riuscire a guardarsi in maniera diretta, negli occhi, senza paura di essere giudicati, solo per un semplice, reciproco, scambio di affetto o gratitudine, con onestà, senza che tutto
debba per forza avere una seconda finalità, uno scopo o obiettivo ben preciso come purtroppo è ormai abitudine consolidata nel nostro mondo. E’ tutto semplice, tutto immediato, tutti sono lì con te e anche per te, e ti mettono a tuo agio semplicemente porgendoti la mano e facendoti sentire a casa, sorridendoti e comunicandoti che sei il benvenuto, e poco importa se non hanno le scarpe o se quelle che hanno sono una diversa dall’altra, sono lì e sono loro che arricchiscono te che nel frattempo ti rendi sempre più conto di quanto quelle cose che fino a ieri ti sembravano indispensabili in realtà non siano che false necessità, ti accorgi e prendi coscienza di quanto poco basti per vivere e di come tu possa fare benissimo a meno di quasi tutto quello di cui generalmente ogni giorno ti circondi.
![]() Siamo poi partiti per il nord e durante il viaggio verso Korhogo ci siamo fermati a Katiola, in un centro che accoglie bambini orfani di guerra, dove abbiam portato riso, latte e medicinali; ecco, quel pomeriggio per me è stato uno dei più emozionanti, avevo portato dei "giocattoli" (vecchie bamboline, un pallone, degli animaletti, matite colorate e qualche macchinina) che un’amica mi aveva dato in Italia dicendomi che sicuramente sarebbero stati più che apprezzati; ed è stato davvero incredibile, e al tempo stesso difficile da sostenere, vedere la gioia infinita negli occhi di un bambino a cui hai regalato una macchinina, quella macchinina che a casa come altre dieci, cento era destinata in uno scatolone in fondo al ripostiglio o ancora più spesso cestinata perché vecchia o comunque non più una novità; erano così contenti, ed erano così uguali ai nostri, semplicemente bambini, che rimangono male e piangono perché le macchinine sono finite e qualcuno è rimasto senza, ma poi immediatamente dopo sorridono di nuovo perché hanno comunque ricevuto un’altra cosa e va bene lo stesso; e poi hanno giocato, quanto hanno giocato tutti insieme sotto la loggia del centro di accoglienza facendo a gara a quale macchinina fosse quella più veloce mentre le bambine pettinavano le loro piccole bambole. ![]() ![]() Poi dopo tre giorni speciali al nord, dove tutto mi è sembrato ancora più intenso, dove l’africa è ancora più africa se così si può dire, (abbiamo visitato dei villaggi davvero "primitivi"), dove nonostante il poco tempo a disposizione qualcosa di troppo difficile da spiegare mi ha talmente affascinato da provare un’infinita tristezza quando è arrivato il momento di ripartire, dove mi piacerebbe così tanto poter tornare per una mia seconda esperienza, siamo tornati a Bonoua e negli ultimi giorni ho anche avuto modo di trascorrere un’intera giornata a un dispensario in un villaggio con le due infermiere del progetto Ippocrate Iolanda e Chantal. E proprio con loro, che ancora una volta come tutti gli altri mi hanno accolto come una di loro nonostante non parlassi la loro lingua e non facessi il loro lavoro, e in quel villaggio ho vissuto altre incredibili emozioni. ![]()
Mi sono trovata davanti a un papà che mi ha messo in braccio la sua bambina e mi ha chiesto di portarla via, di portarla con me, io lo guardavo e non capivo, poi ho chiesto che cosa volesse dirmi e mi è stato risposto che mi stava facendo un regalo, a me ma anche alla sua piccolina, non voleva soldi, solo che la portassi via, in Italia o ovunque stessi andando; e in quei momenti ti senti morire, morire sul serio, esattamente come quando ti accorgi che i bambini mangiano le caramelle che gli hai portato con la carta, semplicemente perché non ne hanno mai vista una; così come capisci quanto tutti siamo uguali e diversi quando ti rendi conto che quei bambini che stanno piangendo nascosti dietro al suo papà piangono perché ti hanno visto, e hanno paura perché sei bianca e quindi tu per una volta diversa da tutti loro.
Avrei voluto far di più, ma forse va bene anche così, ho cercato comunque, per quanto ho potuto e nei momenti in cui ci sono riuscita, di portare anch’io i miei sorrisi, e ho abbracciato, coccolato e accarezzato tutti i bambini che ho potuto, come se fossero miei, cercando di restituire almeno un po’ di tutto quello che nei giorni passati in mezzo a loro avevo proprio da loro ricevuto.
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09/12/2008